Testimonianze

Testimonianze

Le testimonianze che leggerete in queste pagine sono anonime, editate seguendo criteri di non riconoscibilità suggeriti dalle nostre assistenti legali. Lo sono per proteggere le fonti, dato che purtroppo in Italia testimoniare un abuso significa ancora correre dei rischi: il rischio di essere portate di bocca in bocca, di essere colpevolizzate indirettamente per l’accaduto; il rischio di non trovare più lavoro in quanto note piantagrane, di essere licenziate, di trovarsi contro gli amici dell’aggressore, il rischio di essere traumatizzate di nuovo, esposte alla curiosità morbosa del pubblico, schernite ed emarginate. Fa male a dirsi, ma purtroppo i casi di cronaca degli ultimi anni ci hanno insegnato che succede più spesso di quanto immaginiamo, e noi vogliamo che questo sia un luogo sicuro per le persone che decidono di parlare. Inoltre, il nostro scopo non è creare una gogna o svergognare chi ha abusato. Per le denunce e i risvolti legali ci si può rivolgere alle autorità e agli avvocati. 


Non tutti i comportamenti riportati rientrano nella definizione giuridica di reato: si tratta di frasi, gesti o battute fuori luogo, che offendono la professionalità delle autrici e degli autori, delle studentesse e degli studenti e la loro dignità di donne e uomini. 

Il nostro scopo è rendere pubbliche certe prassi, certe cattive abitudini, un diffuso ambiente tossico, un metodo che spesso si ripete e che è comunemente accettato, tanto  che talvolta neppure la vittima inizialmente riconosce come abusante. Per noi esporre i torti è importante quanto proteggere chi li ha subiti. Vogliamo lottare per quello in cui crediamo, e farlo in modo che altri possano unirsi a noi. Per noi evitare che certi comportamenti si ripetano è più importante della ricerca di una rivalsa o vendetta.

Se ti ritrovi nelle storie qui riportate, se hai voglia di condividere la tua esperienza con noi, puoi inviarci una mail a testimonianze@moleste.org. La casella dedicata alle testimonianze sarà aperta solo da due persone che non condivideranno con nessuno i tuoi dati sensibili. Nella mail puoi scegliere se riportare i dettagli riguardo a nomi, circostanze e luoghi, oppure no: in ogni caso non saranno riportati sul sito per garantire la tua sicurezza. Ti garantiamo naturalmente la massima discrezione. Per contro ti chiediamo di riportare solo testimonianze vissute in prima persona e non riguardanti terzi. Naturalmente siamo disponibili a fare da tramite con i centri antiviolenza anche se non rilasci alcuna testimonianza; scrivici pure alla stessa mail e provvederemo nei tempi consoni ad avviare il primo contatto.

Di cosa parliamo quando parliamo di molestie?

Lavoravo in una fiera del fumetto, e svolgevo il mio compito a contatto col pubblico e con gli autori. Durante quel periodo mi resi conto che, quando si chiacchierava con alcuni fumettisti, questi tentavano molto spesso di entrare in discorsi intimi, tipo sul mio orientamento sessuale o sulle mie preferenze, insistendo sui dettagli e sul mio “dovermi rilassare”. Realizzai che questo tipo di discorsi erano affrontati con me e non con gli altri collaboratori maschi. Una volta un editore ospite a una fiera in un momento di convivialità mi ha toccato il sedere. Ero paralizzata, non sapevo come reagire per non creare situazioni di imbarazzo. Poi lo stesso ha preteso il mio numero dai miei datori di lavoro, ma loro – corretti – hanno lasciato cadere la richiesta.

Avevo 25 anni e gli avevo chiesto l’amicizia su fb, come si fa con tutti; d’altro canto chiedere l’amicizia a un editore è una cosa consueta, ma da parte mia molto distaccata. Mi contattò la sera stessa facendo commenti sulla mia immagine copertina, una foto di un libro, iniziando a vantarsi di averne conosciuto l’autore. Ha iniziato a contattarmi spesso, specie su Instagram, commentando i miei disegni o le mie foto. Il fatto è che lui è molto bravo: ti fa dei complimenti per i lavori e aggiunge qualche complimento alla persona, ma non inizia in maniera eccessiva, quindi non potevo dirgli “tu ci hai provato”, perché era un comportamento molto ambiguo (con me). Io però conoscevo una ragazza che aveva avuto una storia con lui, e il fatto che lui mi facesse dei complimenti mi metteva a disagio, ma non volevo comunque perdere il suo interesse ai miei lavori (il mio interesse era più un rapporto editore-autrice, e mi ponevo il dubbio che se avessi smesso di rispondergli avrei perso la possibilità di pubblicare). La cosa andò avanti un po’, fin quando la mia conoscente non ha parlato con l’editore e lui non mi ha più scritto. Da un lato mi sentivo meglio, dall’altro avevo la consapevolezza di poter eliminare la sua dalla lista di case editrici a cui potermi proporre.

In fiera, un volta, mi avvicinò un autore chiedendomi pareri su un fumetto uscito da poco: era un argomento che mi interessava e ne parlavo volentieri. Questo scambio continuò per un po’ di tempo dopo la fiera, finché questa persona cominciò a fare discorsi “più spinti”. Ci discussi parecchio, soprattutto perché voleva assolutamente inviarmi dickpic decisamente non richieste. Poi capì come arrivare a ciò che voleva e iniziò a comportarsi come un innamorato e io, ingenua, dopo qualche settimana di corteggiamento decisi di vederlo. Ricordo che gli chiesi se fosse fidanzato, perché avevo visto una ragazza nelle sue foto e lui mi disse che quella era la sua ex e che ormai si erano lasciati da mesi. Mi rilassai, ci incontrammo e ci andai a letto. Dopo quel giorno cominciò a diventare strano e io volevo chiudere il rapporto, qualsiasi fosse. Arrivò a fingere di essere stato gravemente malato per impedirmi di abbandonarlo, e gli credetti. Solo dopo qualche tempo scoprii che in realtà non si era mai lasciato con la ragazza delle foto. Il mio consenso era costruito su una montagna di bugie. Mi decisi a chiudere i rapporti definitivamente e lui si preoccupò solo di sapere se potessimo mantenere almeno un rapporto professionale: capii che probabilmente tutto quel che gli interessava era ottenere contatti lavorativi.

Lui era il mio insegnante al primo anno in una scuola di fumetto e io avevo 19 anni, ero appena uscita dalle superiori. Con me faceva quello paterno, mi lusingava e mi spingeva a confidarmi con lui riguardo ai compagni di classe (erano tutti maschi e tutti più grandi) e io mi fidavo. Una sera mi invitò a cena e a casa sua con la scusa di farmi vedere dei fumetti ma io rifiutai perché mi sembrava una richiesta inappropriata: avevo paura di sentirmi a disagio e il sospetto che dietro ci fosse un secondo fine. Le cose più spiacevoli succedevano in classe: mi prendeva in giro facendo allusioni sessuali e scherzi “da amicone”, ma lui aveva quasi 50 anni ed era il mio professore (e non eravamo amici). Ad esempio una volta (ma ci sono altri episodi dello stesso tenore) ero alla cattedra per farmi correggere delle tavole, e lui cominciò a fare osservazioni sulle tavole che mi parevano assolutamente insensate. Tutti ridevano, io non capivo perché, né capivo che cosa volessero dire quelle correzioni assurde. Solo dopo mi sono accorta che, piegandomi sulla cattedra per guardare i fogli, si era aperto un po’ lo scollo della maglietta e tutte quelle osservazioni erano sul mio seno. E dall’altra parte della cattedra tutti avevano capito, ma io no perché ero concentrata e presa dalla revisione. Quando ho realizzato cosa stesse succedendo mi sono sentita molto stupida e inadeguata. Di tutti i miei compagni di classe solo uno si indignò con me, gli altri ridevano sereni.

Per quanto mi riguarda, la mia esperienza con il mio molestatore riguarda i primi anni in cui lavoravo nel fumetto. Era appena uscito un volume in cui avevo disegnato una storia e durante una fiera mi ero ritrovata una sera a cena con un gruppo di fumettisti. Insieme a questo gruppo c’era pure un autore, che non conoscevo, e che mentre gli altri erano un po’ da parte a fumare fece pesanti apprezzamenti sul mio seno e quando gli altri stavano iniziando a entrare nel locale mi spinse contro un portone bloccandomi le spalle e continuando a dirmi porcate. Io terrorizzata, all’epoca una ragazzina, non avevo il coraggio di reagire, come farei oggi. E in più non volevo creare subbuglio giusto quella prima sera che mi trovavo a cena con autori che stimavo e ammiravo fin da prima di diventare io stessa autrice. Insomma, non volevo disturbare. Alla fine mi divincolai e entrammo, io senza dire niente. Ma lui era talmente su di giri che pure mentre ci mettevamo a sedere nel ristorante ha continuato a dire porcate davanti a tutti.

Quando ero studentessa in una scuola di fumetto, un mio insegnante sembrava apprezzare particolarmente il mio lavoro. Più di una volta lui ha detto che voleva farmi pubblicare e alcuni miei lavori erano perfetti per le collane che erano in procinto di uscire in quel periodo. Mi ha scritto spesso anche su Facebook per parlare di una collaborazione per un fumetto che non è mai uscito. In queste occasioni capitava spesso di parlare anche di altro rispetto al lavoro, ma non gli ho mai dato modo di pensare che ci potesse essere qualcosa di diverso da un rapporto professionale, o al massimo amichevole. Questa cosa è andata avanti per diverse settimane in cui spesso ci vedevamo prima delle lezioni per discutere su come sviluppare il progetto. Sebbene i toni fossero molto cordiali, da parte mia è sempre stato tutto estremamente professionale. Un giorno, subito dopo una lezione a scuola, mi ha chiesto di cenare con lui, specificando che non si trattava di una cena di lavoro ma semplicemente del piacere della compagnia di un’amica e di buona conversazione. Ero un po’ combattuta, ma non avevo mai avuto segnali maliziosi da parte sua e pensavo che potesse essere realmente una innocente cena tra amici. Ma a cena, ogni volta che cercavo di parlare di lavoro lui spostava immediatamente la conversazione su altro. Appena finito di cenare, si è dichiarato innamorato di me. Non posso dire che sia stato insistente o fastidioso in quel momento, ha accettato il mio rifiuto, incassandolo e mi ha assicurato che non sarebbe cambiato nulla. Per un po’ ha iniziato a ignorarmi in classe, anche se poi ha sempre corretto tutti gli esercizi, tutti i miei lavori e professionalmente ha mantenuto il suo ruolo. Dopo qualche tempo, si è riavvicinato per dirmi che ho molto talento e meritavo delle possibilità. Pertanto mi ha detto che aveva deciso che avrebbe continuato a sostenermi e a propormi dei lavori. E lo ha fatto davvero. Abbiamo recuperato un rapporto di amicizia e io pensavo che fosse tutto passato. Il problema però sorgeva ogni volta che lui aveva il sospetto che io potessi avere un uomo. Un giorno l’insegnante ha cambiato totalmente atteggiamento ed è diventato freddissimo con me, finché mi ha chiesto di vederci con una scusa. In realtà era già sotto casa mia e sembrava davvero fuori di sé. Mi era venuto a dire che uno dei dirigenti della scuola aveva parlato malissimo di me, dicendogli (cosa non vera) che avevo avuto una relazione con un altro insegnante. Fuori di sé dalla gelosia, mi ha detto di non poter accettare una cosa del genere. Mi ha detto che a quel punto era disposto a fare qualsiasi cosa pur di avermi e che non gli interessava neanche più se lo desiderassi o meno. Mi ha detto che voleva salire a casa mia per fare sesso, doveva avermi subito perché, se ero stata con quell’altro insegnante, lui doveva avermi per forza. Se io avessi rifiutato, significava che io e lui non potevamo più lavorare insieme e non avremo mai più collaborato in futuro. Naturalmente ho rifiutato e mi sono difesa, spiegandogli che tutto quello che il suo superiore aveva detto era una bugia e che, anche se fosse stato vero, la mia relazione non implicava nessun tipo di dovere nei suoi confronti. Inizialmente lui ha ceduto e si è messo a piangere disperato dopo questa richiesta. Era così disperato che io non sono riuscita a rimanere arrabbiata, mi faceva effettivamente pena vederlo in quel modo. Chiaramente però, per un po’ non ci siamo più sentiti. Durante una fiera, però, l’ho visto presso uno stand ed ero pronta ad affrontarlo. Ma quando mi ha vista è scappato di corsa e non l’ho più visto. A quel punto la mia rabbia è risalita perché non aveva neanche il coraggio di guardarmi negli occhi dopo quello che era successo. Gli ho quindi mandato un messaggio per ricordargli quanto mi avesse ferito quel comportamento. Gli ho detto che mi ha fatto sentire carne da macello e che da lui non mi aspettavo una cosa del genere e che speravo in fondo al mio cuore di avere ancora in qualche modo dei segnali che lui fosse una persona buona. Dopo alcune settimane di silenzio mi ha risposto con una mail lunghissima, piena zeppa di insulti, accuse e cattiverie. Ha detto che non ho mai avuto talento è che tutto quello che ha fatto lo ha fatto solo perché era innamorato di me. Mi ha accusata di essere una manipolatrice. Inoltre mi ha detto che, grazie alla sua magnanimità, aveva deciso che lavori che avevamo lasciato in sospeso avrei potuto finirli, ma che non avrei mai più lavorato con lui.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Alcuni anni fa stavo affrontando un periodo particolarmente difficile. A quell’epoca non conoscevo praticamente nessuno del settore, a parte gli insegnanti della scuola di fumetto e soprattutto ignoravo i comportamenti tossici che si nascondono in questo ambiente. Un giorno dal nulla, mi scrisse un professionista che per coincidenza faceva parte dei pochi autori che consideravo di riferimento. La presi ingenuamente come qualcosa di buono, dopo tante sciagure. Iniziammo a conoscerci, lui era molto cordiale e a poco a poco si è mostrato molto interessato a me. Quello che mi ha attratto in modo particolare e decisivo sono stati alcuni dettagli in comune con me, che poi si sono rivelati fasulli. Inoltre aveva degli atteggiamenti premurosi e affabili che mi hanno fatto fidare di lui. Dopo qualche mese di comunicazioni giornaliere, mi propose di incontrarlo. Alla fine, dopo un po’ di tempo, mi convinsi e lo incontrai. Col tempo riuscii a sbloccarmi, al punto da avere dei rapporti sessuali con lui, ma dopo questi episodi sparì. Passò dal domandarmi perché non rispondevo ai messaggi, anche solo dopo alcuni minuti di silenzio, alla sparizione totale. Chiesi il motivo, e insistetti parecchio perché mi ignorava. Quando finalmente ricomparse mi disse che era ovvio che non era interessato a me e che era ovvio che io ero una persona facile. Delle volte mi diceva che dovevo mollare il fumetto e concentrarmi su altro perché non avrei avuto molta speranza in questo mondo. Dopo questo fatto caddi in una depressione profonda, perché immaginavo che la mia carriera fosse spacciata ancora prima di iniziare. Fortunatamente sono stata poi meglio, nonostante altri autori ci abbiano provato o abbiano cercato di ottenere mie fotografie intime in cambio di apparizioni nei loro lavori o in cambio di ritratti. Una volta venni anche contattata per un progetto in cui però oltre al portfolio era richiesta la presentazione delle mie natiche. Queste attenzioni non richieste sono diminuite quando mi sono fidanzata.

Un editore iniziò a farsi notare riempiendomi di like sui social, soprattutto sui lavori ma non solo. Poi mi scrisse in privato dicendomi che mi riteneva molto brava e che gli sarebbe piaciuto lavorare con me, e che se avessi avuto una storia da proporgli sarebbe stato ben contento di visionarla. Io gli dissi che al momento non avevo niente già pronto ma che glie lo avrei mandato nel caso ce l’avessi avuto. Lui però mi continuava a scrivere, ogni tanto mi mandava video personali e mi disse che se almeno avesse avuto qualcun altro con cui parlare non si sarebbe sentito così solo. Continuò mandandomi altri video, non erotici o allusivi, ma comunque inopportuni. Poi mi invitò ad un’inaugurazione dicendomi di volermi proporre un lavoro. Io, con i pochi soldi che avevo in tasca, ma immaginando ne sarebbe valsa la pena visto che parlava di un progetto concreto, ho fatto questo sforzo economico e sono andata a questa inaugurazione (in un’altra città). Davanti agli altri non mi considerò minimamente, a malapena mi salutò, ma mi diede appuntamento per la mattina successiva in redazione. L’indomani mi ricevette nel suo studio chiacchierammo di tutto fuorché del progetto, io provai a chiedergli di cosa volesse parlarmi e lui mi ripeté che avrebbe voluto che gli proponessi un mio progetto (gli avevo già detto prima di andare che NON lo avevo). Poi iniziò a chiedermi se fossi lì da sola o col mio ragazzo, quanto mi sarei fermata, se avessi voglia di andare a cena con lui… Al mio rifiuto mi congedò cortese ma freddo, mi riempì di roba in regalo e una volta uscita dalla porta non l’ho mai più sentito per alcun progetto.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Anni fa, tra i miei contatti social, avevo un autore che cercava collaboratori. Gli scrissi rispondendo all’annuncio e qui cominciarono i problemi. Praticamente nelle mail era professionale, ma poi nel privato iniziarono le sue richieste di invio foto di alcune parti del mio corpo. Ho sempre cercato di rispondere in modo educato e professionale e niente, lui continuava. Fino a quando ho dovuto bloccarlo.  Non era la prima volta che mi accadeva in ambito professionale, ma questo episodio mi allontanò di molto dalla “carriera” fumettistica. Non ho più risposto ad un annuncio di lavoro nel settore e ho preso altre strade nel settore dell’arte.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Alcuni miei colleghi mi hanno consigliato di farmi vedere nuda poiché, visto che alcune autrici si mostrano in in maniera provocante sui social, i miei disegni sarebbero stati apprezzati di più.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Da anni non riesco a mettere piede a una fiera. Non riesco a scrivere. Frequentavo una scuola di fumetto, ne ero entusiasta. Un giorno mi contattò un insegnante, un autore di cui stimavo il lavoro: gli piacevano i contenuti che postavo, diceva. Mi introdusse a una forma di comunicazione sconosciuta e non convenzionale (almeno era quello che credevo io) che il suo entusiasmo e passionalità nei miei confronti rendevano emozionante ed eccitante. Nel frattempo, mi confidava pensieri personali, opinioni e mi aiutava ad affinare la formazione sui temi di comune interesse. Gli scambi tra noi diventavano sempre più intensi e intimi, a ogni ora del giorno e della notte: testi, foto, voce, video, ogni mezzo consentito dalla tecnologia a una coppia di amanti a distanza (lui viveva in un’altra città). Mi disse che eravamo fatti per stare insieme ma che sarebbe stata dura. Gli credetti. Passavano i mesi e io volevo incontrarlo, il gioco non mi bastava più. Lui era tanto insistente, prepotente, nel richiedere le mie attenzioni online quanto reticente alle mie richieste di un confronto reale. Sosteneva di essere un uomo solo e ferito, e di non credere più all’amore delle donne. Accettai quella formula malsana di non relazione per mesi, nella speranza che cambiasse idea.  Intanto avevo cominciato ad affacciarmi al mondo professionale del fumetto, a essere presente alle fiere, costruire una rete di contatti. Era inevitabile incrociarsi, finire per avere conoscenze in comune. Lui era sfuggente e allo stesso tempo acuto come un predatore nel tenermi a tiro: in pubblico manteneva le distanze, per poi scrivermi messaggi di fuoco appena ritrovato il buio della sua tana. Venni a sapere da terzi che era impegnato: una condizione che non ero riuscita a  dedurre, nonostante le continue ambiguità. A velo dissolto, le nostre comunicazioni s’interruppero. Eppure, la lezione non mi era bastata e mesi dopo ricaddi nella mia dipendenza. Trovandosi all’improvviso senza una compagna, mi propose una vera relazione, che accettai, ma che fallì nel giro di qualche mese. Ancora mi ritrovo ad autocensurarmi nel raccontare i dettagli di quel disastro, a sentirmi colpevole di quello di cui lui mi accusava, di non essere abbastanza. Non lo vidi più. Tempo dopo, per puro caso, mi trovai ad accennare questa storia a una collega: senza che ci fosse bisogno di fare nomi, sgranò gli occhi e capì immediatamente chi era quell’uomo. Mi disse che lo aveva fatto anche con lei e con tante altre, che era un uomo di merda.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ero in una fumetteria, ad una presentazione. D’accordo con alcunƏ fumettistƏ ci eravamo datƏ appuntamento lì per fare un’intervista. Uno di questi mi venne vicino e iniziò a fare prima una conversazione normale, poi sempre più molesta. Non ci eravamo mai visti prima. Mi disse che avevo dei bei capelli, che non era mai stato con una ragazza con dei capelli belli come i miei e mi chiese quanti anni avessi. Quando scoprì che avevo 22 anni osservò che allora non c’erano problemi. Aggiunse che ero piccola, ma maggiorenne. Continuava a parlarmi in questo modo, iniziando anche a toccarmi le spalle, ad avvicinarsi troppo e a un certo punto mi disse pure che stava andando in bagno e mi invitò a seguirlo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Qualche anno fa avevo appena pubblicato un libro e ne stavo facendo un altro di genere erotico. Durante una festa in fiera, mentre ballavo da sola, mi si avvicinò un professionista del mondo del fumetto palesemente sbronzo e mi si buttò addosso toccandomi seno e sedere senza il mio permesso e biascicando cose tipo “ti piaceeee e daaiii ci stai facendo pure un libroo”. Io rimasi allibita, molto delusa e un bel po’ incazzata.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Frequentavo la scuola d’arte e all’epoca avevo una passione smodata per i fumetti. Non so come accadde ma un giorno che stavo nella mia mansarda a disegnare come al solito invece di fare gli esercizi di matematica, ricevetti la telefonata di un tizio che avevo conosciuto ad un importante festival di fumetto qualche settimana prima. Durante quell’incontro mi aveva fatto un sacco di complimenti. Mi ero fermata al suo stand e avevamo chiacchierato del più e del meno, poi mi aveva fatto un sacco di complimenti e domande sia sul mio interesse per i fumetti sia su un autore che io adoravo e su cui avevo chiesto informazioni e materiale. A me sembrò un persona carina e preparata, soprattutto ero strafelice di aver incontrato un esperto. Lui si qualificò così. Era consulente per diverse case editrici e scriveva su riviste del settore. Mi mostrò un sacco di materiali e pubblicazioni. Insomma per tornare alla telefonata, io ero allibita perché non capivo come avesse potuto rintracciarmi, lui inizialmente chiese conto del mio lavoro, se avevo cominciato a lavorare ad altre storie… io gli risposi un po’ imbarazzata che stavo preparando la maturità e che per un po’ avrei dovuto concentrarmi su altro. Poi mi spiazzò chiedendomi di uscire insieme, che lo avevo colpito… e io, molto seccata, gli chiesi a cosa fosse più interessato, ai miei fumetti o a uscire con me. Lui rispose come se fossi una scema totale, come se la risposta fosse ovvia dato il mio aspetto fisico. Sul momento rimasi di sasso, lo liquidai dicendo che non ero interessata e terminai la conversazione. Il giorno dopo, alla fine delle lezioni, lui si presentò fuori dalla mia scuola!!! Cercò in tutti i modi di farmi capire che non dovevo fare la ritrosa, che non mi conveniva, che avrebbe potuto farmi fare delle cose interessanti perché conosceva un sacco di gente “importante”. Lo diceva sorridendo e sgranando gli occhi come se fosse la cosa più normale del mondo e non si capacitava di quanto fossi scema. Io tentavo di scansarlo e di raggiungere la fermata dell’autobus. Lui insisteva e mi si parava davanti. Ero molto incazzata e lo trattai malissimo. La così finì lì per fortuna. Scoprii più tardi che era riuscito ad avere il mio numero di telefono da un compagno di scuola che abitava nella sua città.

Ero in enormi difficoltà economiche, non riuscivo a vivere del mio lavoro. Mi ero rivolta a un autore che si era dimostrato disponibile e amichevole, per chiedergli una mano. Mi propose di fare sesso a pagamento con dei suoi conoscenti. E aggiunse che aveva contatti nel porno.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ho conosciuto questa persona a scuola di fumetto, durante un incontro di orientamento, in un periodo complesso della mia vita. All’epoca ero fidanzata e nei primi mesi non superò mai il limite, se non chiedendo di vederci ogni tanto in situazioni più intime: inviti che ho sempre rifiutato. Quando il mio ex si trasferì altrove, la situazione cambiò. Per un periodo venne a scuola regolarmente, come ospite. La nostra amicizia divenne puro abuso: mi baciava senza il mio permesso fingendo che fosse per errore, anche a scuola; era ipercritico verso chiunque io frequentassi, compreso il mio ragazzo di allora; mi faceva sentire quasi in colpa per la mia “povertà”; riuscì perfino a farmi sentire una donna poco qualificata quando, visto il mio CV con la scusa di un lavoro presso di lui disse che, nonostante fosse un buon CV, nella vita non avrei concluso niente perché mi mancavano delle “skills” fondamentali. Un giorno arrivò una proposta da un editor: voleva organizzare un team di ragazze, per gestire un progetto. Accettai con entusiasmo. Un giorno lui entrò nel nostro gruppo di lavoro e disse che tutto quello che avevo proposto, e sul quale si stava lavorando, faceva schifo. In privato mi disse che le ragazze non mi sopportavano e mi trovavano saccente e irritante. La presi malissimo. Uscii dal gruppo senza scenate, convinta di non essere ben accetta. Lui si presentò a scuola facendomi una sfuriata, per questo. Mi sentivo letteralmente soffocare e ricordo che uscii fuori a piangere e nemmeno lì mi lasciò in pace. Per fortuna poco dopo ebbe un diverbio con il direttore e le sue incursioni a scuola finirono. Io presi le distanze da tutto, dai social, dal mio giro di conoscenze. Un giorno seppi dalle mie ex compagne di lavoro che avevano scoperto che lui raccontava di aver avuto rapporti sessuali con noi, e non era vero. Effettivamente anche a me aveva raccontato grandi imprese sessuali, e non mi ero mai presa la briga di constatare se fossero vere. Ovviamente scoprii che anche io facevo parte del suo harem inconsapevole e che le ragazze non si erano mai lamentate di me, anzi, il contrario: mi aveva messo contro di loro perché non voleva che noi riuscissimo nel progetto da sole, senza di lui. Così, capii che in quel lungo anno tutto quello che mi aveva detto erano solo bugie. Cercò di giustificarsi ma la sua credibilità era persa, ancora oggi non abbiamo contatti. Mi confidai con alcune persone riguardo questa esperienza e mi dissero che avrei dovuto abituarmi e fare più attenzione, perché il “mondofumetto” è fatto così. Un altro autore, scoperta la questione, la portò alla luce: poiché anche lui aveva i suoi trascorsi, passò per una lotta ipocrita, e questo delegittimò il nostro diritto a portarla avanti.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Anni fa un amico che lavora nel mondo del fumetto mi propose un lavoro. Iniziammo a scriverci più frequentemente e oltre a parlare di fumetti mi raccontò episodi molto intimi della sua vita sessuale. Io non avevo chiesto nulla ma lui ama confidare a fiume queste esperienze. Finché un giorno mi mandò una foto molto intima di lui che tiene in mano il suo pene mentre guarda la sua compagna nel letto. Trovai esagerato e inappropriato il gesto e glielo dissi, lui si scusò.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Per quanto riguarda la scuola di fumetto, ho avuto gli occhi dei maschi addosso fin dall’inizio: un mio compagno venne da me (io mi isolavo moltissimo), si presentò e provò ad abbordarmi, dicendomi che ero bella, brava e altre stronzate, con insistenza, standomi appiccicato alla schiena. Al che io l’ho mandato a cagare. Il nostro insegnante (che a sua volta ci aveva provato spudoratamente con me invitandomi a pranzo e a cena, a vuoto, e che per farmi correzioni di anatomia faceva riferimenti al mio corpo, che mi fissava e metteva a disagio con tutti gli/le altri miei compagni) che aveva sentito tutto ha ben pensato di prendersela con me, facendomi la ramanzina perché avevo avuto un linguaggio scorretto. Poi ho chiarito col ragazzo in questione e non si è più permesso.

Mi avevano presentato questo autore durante una fiera, io estremamente timida non avevo parlato molto, era stato uno scambio di battute davvero molto breve, aveva un qualcosa che mi metteva in imbarazzo, forse il modo insistente con cui mi guardava, in ogni caso mi ero defilata quasi subito non sapendo cosa dire. Senza considerare il timore quasi reverenziale che avevo nei suoi confronti. Fatto sta che con mia grande sorpresa mi contattò tramite social. Da lì in modo molto viscido e subdolo è diventato sempre più opprimente, dovevo rispondergli subito, dovevo mostrarmi interessata. Io ero molto confusa e cercavo di non inimicarmelo, vuoi perché non ero abituata a questo atteggiamento, vuoi perché chiaramente era un uomo che stimavo e che non volevo allontanare per non avere delle ripercussioni lavorative. La conversazione molto presto degenerò. Mi chiese di raccontargli le mie esperienze, lui mi raccontò le sue, mi chiedeva se mi eccitassero, se volevo che continuasse. Inizialmente in modo molto ingenuo, a me che mi sono sentita sempre libera di discutere e riflettere su certi argomenti non era sembrata una cosa che potesse nuocere. Ero incuriosita e per questo l’ho assecondato per un po’, soprattutto perché fin dall’inizio aveva stabilito un contatto molto intenso, riempiendomi la testa di lusinghe e comportandosi quasi in maniera paterna, come se realmente fosse interessato a me, come persona e non come ragazzina da scopare. Ma quando rifiutavo lui si arrabbiava, allora cercavo di cambiare discorso, di girarci intorno, sono diventata molto passiva perché avevo paura di quello che poteva dire. Continuava a dire che avevamo una connessione, che io sapevo chi fosse, che lui era passionale e cercava la vita vera. Ovviamente non era così. E io mi sono sentita in trappola, oppressa dalla sua insistenza, più cercavo di dirgli che non era così, che era in una situazione di potere e che io non sapevo come comportarmi, più lui mi dava la colpa di averlo illuso, che dovevo quindi sparire.

All’epoca avevo una ventina d’anni. Avevo iniziato a frequentare un corso in una scuola di fumetto allontanandomi dalla mia città. Ero per lo più da sola, e non parlavo con nessuno tutto il giorno perché non do molta confidenza agli altri: stabilisco dei confini molto chiari, non mi piace toccare ed essere toccata da chi non conosco bene. Il corso non era male, eravamo una classe poco numerosa e si chiacchierava parecchio. L’insegnante mi conosceva dall’anno precedente, di vista o per sentito dire. Aveva quasi il doppio della mia età, e aveva una relazione con una persona e me vicina. Nessuno di noi due ne parlava, al corso: io per non metterlo a disagio, lui probabilmente per discrezione. Non volevo di certo che gli altri studenti pensassero a un favoritismo. Proprio per questo motivo non volevo dargli confidenza, mi sentivo un po’ a disagio al pensiero di questa consapevolezza taciuta. Così ho tenuto molto le distanze. Conosceva la mia età, sapeva che ero fidanzata da molti anni (aveva anche conosciuto il mio ragazzo), aveva avuto modo di capire che tipo di persona fossi. In un giorno molto caldo, mi sono messa pantaloncini e canottiera. Non sopporto il caldo. Ho fatto una coda ai capelli. Di solito non faccio la coda perché da bambina a scuola mi hanno detto che se qualcuno volesse rapirti, la prima cosa che farebbe è tirarti dalla coda o dalla treccia. Sono andata al corso, e quando siamo entrati in aula mi hanno detto che c’eravamo solo io e un’altra studentessa a lezione quel giorno. La cosa mi era indifferente. Ogni tanto gli altri del corso non potevano partecipare. Quindi eravamo solo io, l’altra studentessa e l’insegnante. Non so cos’è successo prima e cosa dopo. L’insegnante ogni tanto faceva pettegolezzi sui colleghi, e quel giorno parlò di un collega che aveva iniziato una relazione con una studentessa più giovane di 20 anni. Commentai dicendo che era del tutto inappropriato, e che ero contenta che quella persona fosse stata allontanata. Personalmente, non accetto avances da chi dovrebbe insegnarmi a essere professionale, che ipocrisia! L’insegnante non era d’accordo, e secondo lui la differenza di età non era un problema, nel caso di due adulti, e disse che molte studentesse ci provano per avere vantaggi nel lavoro. Gli dissi che non era questo il punto, ma lasciai perdere perché capii che non valeva la pena di discutere. Penso che quando è successo tutto stessimo correggendo i lavori fatti a casa. Ci avevo messo l’anima. Ci tenevo molto a sapere se il lavoro fosse fatto bene. L’insegnante si sedette accanto a me e pensai che non ce ne fosse bisogno. Soprattutto non dietro di me. E pensai che non andasse bene che si poggiasse sulla mia spalla nuda con la testa, che non andasse bene, sentivo il suo respiro troppo vicino all’orecchio. Sentivo il suo odore e non mi piaceva. Gli dissi che se voleva potevo fargli spazio così da sedersi accanto a me, e non dietro, sicuramente sarebbe stato più comodo. Lo dissi con voce un po’ stridula, mi vergognai e andai in tilt. Lui sbuffò e spostò la sedia. Così non dava le spalle alla mia collega tra l’altro, che poteva essere interessata alle correzioni. Seduto accanto a me con le gambe larghe sfiorava le mie gambe, e avrei voluto non lo facesse. Avevo la pelle d’oca e si vedeva. Cercavo di sistemare i pantaloncini per farli sembrare più lunghi. Mi toccò una coscia. Mi spostai e lui si spostò. Poggiai la schiena sullo schienale e lui mise il braccio attorno allo schienale. Mi allontanai e mi diede pacche sulla schiena. Mi misi dritta e lui mi diede una pacca sulla testa. Quella fuga non era risolutiva. Desiderai che non mi guardasse più la scollatura. Ok uno sguardo può capitare, ma stava esagerando. Avrei voluto che non guardasse. Mi coprii con le braccia ma così esponevo la schiena, mi sentivo vulnerabile e non sapevo come far capire più di così che non stavo al gioco. Credo che ad un certo punto abbia capito, perché si alzò e si allontanò. Ero davvero sollevata. E invece sentii tirarmi la coda. E mi chiamava con nomignoli vezzeggiativi. Mi tirò la coda così forte che la mia testa scattò all’indietro. Ero così sorpresa che sbottai e gli chiesi che cazzo stesse facendo. Pensai ai bambini che tirano i capelli alle compagne di asilo, a quando mi hanno detto di non farmi la coda per strada. Pensai alla sua compagna e a quanto mi vergognavo. Mi passarono mille pensieri per la testa e avevo voglia di dire tante cose ma non ne ho detta nessuna. Mi sentivo viscida e sporca, guardata e toccata. La pelle della testa mi prudeva perché sentivo ancora quel tocco e la sensazione non se ne andò per tutto il giorno. Non dissi niente a nessuno perché non volevo che il resto del corso fosse difficile per me. Passai il resto della settimana a sperare che alla prossima lezione fossero presenti gli altri studenti, soprattutto gli uomini. In loro presenza non successe più niente del genere. Non rivolsi più la parola all’insegnante se non in casi strettamente necessari per il resto del corso. Ho portato i capelli sciolti per il resto del corso. Dopo un anno venni a sapere che diceva in giro di me che sono una ragazza dal carattere difficile, una stronza. 

Quando andavo a scuola di fumetto stavo con un ragazzo, e quando si è saputo che ero “in coppia” con qualcuno i modi sono completamente cambiati. Durante quegli anni a scuola ho conosciuto un professore che mi piaceva davvero tanto, che mi ha fatto perdere la testa, ma era molto più grande di me: eppure davvero mi ci trovavo, sarei stata ore e ore a parlare con lui. Una sera, mentre c’era una festa della scuola in un locale, mi chiese se volessi andare a letto con lui; io ero ubriaca, lui mi piaceva davvero ma ero fidanzata e poi sembrava un incubo, allora andai via. Dopo qualche giorno, dopo anni di relazione decisi di lasciare il mio ex, proprio perché quella domanda mi era entrata nella testa. Ho passato gli anni scolastici a parlare sempre con questo insegnante più grande di me e quando mi capitava di interagire con gli altri professori (tutti maschi) era palese che da quando ero single era tutto “meglio”: alcuni mi regalarono costoso materiale per lavorare, mi invitavano continuamente fuori, feci conoscere loro una mia amica e con loro uscimmo parecchie volte, ritrovandoci in situazioni di flirt davvero deprimenti, ma costanti. Mi dissero che avrei dovuto evitare di andare con il mio ragazzo alle fiere perché in qual caso avrebbero potuto darmi più consigli, che se fossi stata single mi avrebbero fatto fare tantissime cose, che era normale che non mi avessero parlato tranquillamente se c’era con me il mio ragazzo. In pratica soltanto l’idea che io potessi essere a loro disposizione gli faceva pensare di avere il diritto di esprimersi su tutto. Le attenzioni che davano ai miei esercizi per me erano fondamentali e per me era bello tutto questo, ma lo facevano solo perché avevano altre intenzioni. 

Alla mia prima fiera, disegnavo per una casa editrice e avevo il mio posticino per fare firme sugli albi. Arrivò un autore e mi presentò a un suo collega: mentre mi presentava, prese il fumetto aprendolo alla pagina in cui si vedeva una ragazza a quattro zampe durante un rapporto (tra l’altro non proprio felice), e disse che ero io, indicando il disegno e poi me. Il collega rise e mi chiese se fossi davvero io; mi sono alzata, ho guardato la pagina che indicavano e mi sono seduta in silenzio. Poi ho dovuto specificare che quella non ero io, ma che sì, il disegno era MIO. Subito dopo l’autore ha cominciato a vantarsi che “le quote rosa” fossero decollate vista la presenza mia e di un’altra ragazza. Insomma ha fatto il buffone. 

Finita la scuola di fumetto con un giudizio alquanto brutale, invece che abbattermi, decisi di prendermi del tempo e di migliorare me stessa. Mi iscrissi ad un corso di fumetto dove conobbi il mio insegnante. Essendo un corso privato, era un ambiente intimo e vivace. Erano iscritte poche persone che con il fumetto avevano anche poco a che fare. Colsi l’occasione e la disponibilità del fumettista in questione, e decisi di fargli vedere tutti i miei lavori per avere delle correzioni. Un giorno gli portai una tavola di fumetto e da quel momento lui mi guardò con occhi diversi. Mi iniziò a chiedere di andare a casa sua per lezioni extra, specie la sera dopo cena. Io ero immensamente felice che finalmente qualcuno mi avesse notato e che mi facesse da maestro, cosa che avevo sempre desiderato. All’epoca ero fidanzata da molto tempo ma eravamo un po’ in crisi. Ero comunque determinata a migliorare quindi parlai al mio fidanzato e lui mi disse che non era un problema anche se lo infastidiva l’orario delle lezioni. Iniziai ad andare da questo mio maestro con tutto il mio materiale e disegnavamo. Lui ha iniziato a interessarsi della mia vita, soprattutto amorosa, e quando seppe che avevamo qualche problema ne fu compiaciuto (me lo confessò molto dopo). Dopo un paio di settimane mi chiese di fermarmi anche a cena per fare prima e iniziò a fare apprezzamenti sul mio essere “una vera donna” e sul mio aspetto. Io ero… stranita. Siccome con il mio fidanzato le cose erano davvero degenerate in fretta, sentirmi apprezzata mi faceva piacere ma allo stesso tempo lo ritenevo inopportuno. Rimasi comunque nel mio cercando di essergli amica ma anche professionale. Poi iniziarono le richieste di fermarmi un po’ di più dopo aver disegnato per vedere qualche serie tv. Lui si metteva sdraiato a letto e io nel bordo del letto rannicchiata. Quando cercava di convincermi a sdraiarmi gli ricordavo che ero fidanzata e lui mi dava della pesante. Sottolineava che eravamo amici e che comunque guardare con occhio critico alcune opere faceva parte del mestiere. Io tornavo a casa con i sensi di colpa perché credevo davvero di aver frainteso. Una sera si decise invece di fare una passeggiata anziché disegnare. Ero molto combattuta ma non mi sembrava qualcosa di così tragico (in fondo eravamo amici), in più eravamo entrambi stressati lui per motivi personali, io sentimentali… ormai la mia relazione era agli sgoccioli. Ero molto fragile ma comunque per quanto riguarda questa parte mi assumo tutte le responsabilità del caso. Lui sapeva quel che stavo passando. Accettai così passammo la sera a bere qualcosa e a passeggiare.  Dopo di che si dichiarò e tentò di baciarmi con la forza. Io lo rifiutai molto vigorosamente e lui mi dette la colpa di quella uscita,  disse che mi ero concessa un’uscita con lui, che ero stata io ad insistere e riuscì a farmi sentire davvero in colpa. Ritornammo alla solita routine che comunque in certi momenti rimaneva ambigua. Poco tempo dopo chiusi la mia relazione definitivamente per motivi personali che non c’entravano con il mio maestro. Una sera accadde che il mio maestro mi convinse a sdraiarmi accanto a lui e capitò. Ci andai a letto. Da quel momento iniziò un periodo d’oro dove mi prendeva ad esempio in classe davanti agli altri, dove tesseva le mie lodi in privato, mi passava piccoli lavoretti, mi metteva i like ai disegni e li condivideva, mi presentava a tutti gli artisti descrivendomi come una persona di grande talento. I miei amici si erano tutti accorti che ci frequentavamo nonostante cercavo di tenere la cosa nascosta a tutti proprio perché lui faceva grossi favoritismi. Iniziai perfino a collaborare a qualche lavoro con lui. Mi prometteva di presentarmi a questo o quell’editore. Tutto questo fino a quando non scoprii che c’erano altre ragazze cosa che mi portò a chiudere con lui. Da quel momento in poi non sono stata più bella, non ero più brava, non ero più degna di ricevere lavoretti. Il mio lavoro non gli interessava più. A lezione mi ignorava e i miei disegni erano pieni di difetti. Passò del tempo e decisi comunque di rimanerci amica/confidente perché credo nel perdono e comunque avevamo delle collaborazioni in comune per cui venivamo spesso chiamati assieme ad altri fumettisti del posto. Non avrei potuto essere più ingenua. Durante queste collaborazioni lui assumeva l’atteggiamento da superiore e si metteva in competizione, spesso copiando quello che facevo e dicendo agli altri che lo aveva “corretto” beccandosi l’attenzione di tutti e facendomi così sentire spesso inadeguata e incapace. Sminuiva ogni mia piccola vittoria nel campo del fumetto. A volte ha tentato di rubarmi dei lavori sapendo che comunque io ero un’esordiente e lui un professionista. Oltre al fatto di ferirmi sentimentalmente perché io, poi, provavo effettivamente qualcosa per lui, mi ha fatto sentire una nullità e una poco di buono perché finché gliela davo allora ero degna di tutte le attenzioni professionali di questo mondo. Appena ho smesso, non mi ha più dimostrato il benché minimo interesse professionale.

Collaboravo con una una casa editrice e il mio capo mi propose di lavorare allo stand di una fiera. Gli chiesi diverse volte informazioni riguardanti il viaggio e il pernottamento ma sfortunatamente non ricevetti mai risposta. A ridosso della data di partenza, mi disse di stare tranquilla, di aver trovato posto in un albergo nel centro della città, vicino alla fiera. Dopo una lunga giornata di lavoro, arrivammo in albergo e scoprii con infinito stupore che il mio capo aveva prenotato un’unica stanza con un solo letto matrimoniale per me e per lui. Gli chiesi spiegazioni e di tutta risposta mi disse, sorridendo, che dovevo sapere che nel mondo del fumetto non ci sono soldi. Sfortunatamente l’hotel non aveva più camere disponibili (avrei pagato a mie spese) e, mio malgrado, fui costretta a condividere lo stesso letto con lui.  Ricordo di non aver dormito nulla e di essere stata sulla sponda del letto dandogli le spalle, una cosa orrenda se il giorno dopo ti aspettano 10 ore di lavoro.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Premetto che non lavoro nel settore ora, ma ho frequentato una scuola tempo fa e lì ho conosciuto il mio insegnante. Questa persona stava simpatica a tutti, pure a me. Ero probabilmente anche contenta che io potessi stargli simpatica, sono stata una persona introversa e non mi sentivo a mio agio nella scuola. È successo tempo fa ed ero contenta che un professore che insegnava una cosa che mi piaceva potesse trovarmi interessante. La scuola partecipò ad una festa in un grande locale, durante un grande evento: c’erano tantissime persone. Io sapevo che avrei incontrato il mio insegnante perché ci eravamo dati una sorta di appuntamento per beccarci, infatti quando arrivò venne a salutarmi e mi presentò moglie e prole. “Piacere”, “piacere”, e poi tornai dai colleghi di corso, bevemmo ballammo ci divertimmo insieme ai professori / autori, anche insieme al mio insegnante. E poi confusione. Ricordo soltanto che ero stata circondata da persone che non conoscevo che incitavano con fare da stadio il mio insegnante a toccarmi e baciarmi. Eravamo vicino all’ingresso del locale, tra tante persone, anche un sacco di persone che conoscevo e nessuno, neanche qualcuno degli “amici” fece nulla. Io mi contorcevo per evitarlo fino a che sono sgusciata via. Ovviamente la sua famiglia non c’era più nessuno, erano andati via dalla festa non so quando. Ero triste, ma anche molto incazzata. Triste perché non potevo fidarmi, triste perché non era vero che valevo qualcosa nel fumetto, ero solo una ragazza attraente. La mattina dopo, incazzata tornai a scuola. Nessuno dell’amministrazione della scuola che aveva visto l’accaduto mi chiese nulla. Su un social network mi arrivarono dei messaggi privati dal mio insegnante: mi scrisse che lui non era “così”, mi chiese scusa. Io non risposi. Tempo dopo, ci fu un’altra festa della scuola: si ballava, si beveva. Andai in bagno. Incontrai il direttore della scuola, che nel mio corso non si era fatto vedere mai. Gli picchiai un indice sulla spalla, mi presentai e gli dissi che non ci conoscevamo perché a scuola non si era mai presentato. Mi disse che la scuola era sicuramente in buone mani, e che avevo avuto insegnanti validissimi anche se non c’era lui. Gli dissi che un suo professore mi aveva molestata. Si mise a ridere, mi rise in faccia, disse che non ci credeva proprio e se ne andò. Io uscii dalla festa e mi misi a piangere, piansi tantissimo quella sera. Dopo quella notte tutti i miei contatti con la scuola sono decaduti. Per anni se avevano per le mani un lavoretto, un progetto interessante, una posizione aperta non mi hanno mai contattata. Contattavano i miei colleghi, ma non me. Anche se cercavano proprio la mia professionalità chiedevano ad altri che non l’avevano. Per anni ho odiato più il direttore che l’insegnante, per il fatto di avermi riso in faccia e avermi fatto sentire come una rincoglionita sola, senza alcun potere né valore. Probabilmente ho odiato più il direttore che l’insegnante anche perché quando il secondo mi molestò ero ad una festa, ubriaca, e quando fui circondata il luogo era affollato: avevo forse mandato messaggi sbagliati? Avevo bevuto troppo? E poi mi aveva scritto per chiedere scusa… Mi sentivo insicura. Poi anni dopo una persona che conosco da una vita mi ha detto che il mio insegnante è un noto molestatore. E la mia vita è migliorata. Quella frase mi ha fatto stare così bene come non mi capitava da tanto. Ho capito quanto sia importante che queste cose si sappiano.Io rimasi allibita, molto delusa e un bel po’ incazzata.

Anni fa conobbi un autore sui social: avevo letto un’intervista e mi sembrava una persona seria e professionale. Mi propose una collaborazione. Rappresentavo la preda ideale per lui: frastornata e desiderosa di disegnare. Ha infatti dichiarato in seguito che cerca donne sole e deboli.
Una volta guadagnata la mia fiducia, mi invitò ad andare a casa sua, e io accettai. Dopo brevi convenevoli consumò con me un rapporto sessuale
non consensuale senza protezione. Si fermò solo perché iniziai a piangere. Avevo la bocca piena di succhi gastrici, stavo per vomitare.
Era sorpreso e perplesso da questa reazione. Dopo questo fatto avvennero altri incontri e altri rapporti, consensuali: illudermi di avere una relazione con lui avrebbe normalizzato quello che mi era successo. Ma le sue richieste erano al limite della follia. Dopo poco decisi di troncare i contatti e lui iniziò a cercare di contattarmi in maniera insistente, usando scuse assurde e adducendo motivazioni gravi, anche di salute. Arrivò persino a ventilare l’ipotesi di una sua sieropositività (rischiosa anche per me). Era un incubo interminabile. Ha smesso di cercarmi solo qualche anno fa.
Ovviamente tutte le proposte di lavoro che mi aveva fatto erano fasulle e non si sono mai concretizzate.

Anni fa conobbi un autore sui social: avevo letto un’intervista e mi
sembrava una persona seria e professionale. Mi propose una
collaborazione. Rappresentavo la preda ideale per lui: frastornata e
desiderosa di disegnare. Ha infatti dichiarato in seguito che cerca donne
sole e deboli.
Una volta guadagnata la mia fiducia, mi invitò ad andare a casa sua, e io
accettai. Dopo brevi convenevoli consumò con me un rapporto sessuale
non consensuale senza protezione. Si fermò solo perché iniziai a piangere.
Avevo la bocca piena di succhi gastrici, stavo per vomitare.
Era sorpreso e perplesso da questa reazione.
Dopo questo fatto avvennero altri incontri e altri rapporti, consensuali:
illudermi di avere una relazione con lui avrebbe normalizzato quello che mi
era successo. Ma le sue richieste erano al limite della follia.
Dopo poco decisi di troncare i contatti e lui iniziò a cercare di contattarmi
in maniera insistente, usando scuse assurde e adducendo motivazioni gravi,
anche di salute. Arrivò persino a ventilare l’ipotesi di una sua
sieropositività (rischiosa anche per me). Era un incubo interminabile.
Ha smesso di cercarmi solo qualche anno fa.
Ovviamente tutte le proposte di lavoro che mi aveva fatto erano fasulle e
non si sono mai concretizzate.Anni fa conobbi un autore sui social: avevo letto un’intervista e mi
sembrava una persona seria e professionale. Mi propose una
collaborazione. Rappresentavo la preda ideale per lui: frastornata e
desiderosa di disegnare. Ha infatti dichiarato in seguito che cerca donne
sole e deboli.
Una volta guadagnata la mia fiducia, mi invitò ad andare a casa sua, e io
accettai. Dopo brevi convenevoli consumò con me un rapporto sessuale
non consensuale senza protezione. Si fermò solo perché iniziai a piangere.
Avevo la bocca piena di succhi gastrici, stavo per vomitare.
Era sorpreso e perplesso da questa reazione.
Dopo questo fatto avvennero altri incontri e altri rapporti, consensuali:
illudermi di avere una relazione con lui avrebbe normalizzato quello che mi
era successo. Ma le sue richieste erano al limite della follia.
Dopo poco decisi di troncare i contatti e lui iniziò a cercare di contattarmi
in maniera insistente, usando scuse assurde e adducendo motivazioni gravi,
anche di salute. Arrivò persino a ventilare l’ipotesi di una sua
sieropositività (rischiosa anche per me). Era un incubo interminabile.
Ha smesso di cercarmi solo qualche anno fa.
Ovviamente tutte le proposte di lavoro che mi aveva fatto erano fasulle e
non si sono mai concretizzate.Anni fa conobbi un autore sui social: avevo letto un’intervista e mi
sembrava una persona seria e professionale. Mi propose una
collaborazione. Rappresentavo la preda ideale per lui: frastornata e
desiderosa di disegnare. Ha infatti dichiarato in seguito che cerca donne
sole e deboli.
Una volta guadagnata la mia fiducia, mi invitò ad andare a casa sua, e io
accettai. Dopo brevi convenevoli consumò con me un rapporto sessuale
non consensuale senza protezione. Si fermò solo perché iniziai a piangere.
Avevo la bocca piena di succhi gastrici, stavo per vomitare.
Era sorpreso e perplesso da questa reazione.
Dopo questo fatto avvennero altri incontri e altri rapporti, consensuali:
illudermi di avere una relazione con lui avrebbe normalizzato quello che mi
era successo. Ma le sue richieste erano al limite della follia.
Dopo poco decisi di troncare i contatti e lui iniziò a cercare di contattarmi
in maniera insistente, usando scuse assurde e adducendo motivazioni gravi,
anche di salute. Arrivò persino a ventilare l’ipotesi di una sua
sieropositività (rischiosa anche per me). Era un incubo interminabile.
Ha smesso di cercarmi solo qualche anno fa.
Ovviamente tutte le proposte di lavoro che mi aveva fatto erano fasulle e
non si sono mai concretizzate.Anni fa conobbi un autore sui social: avevo letto un’intervista e mi
sembrava una persona seria e professionale. Mi propose una
collaborazione. Rappresentavo la preda ideale per lui: frastornata e
desiderosa di disegnare. Ha infatti dichiarato in seguito che cerca donne
sole e deboli.
Una volta guadagnata la mia fiducia, mi invitò ad andare a casa sua, e io
accettai. Dopo brevi convenevoli consumò con me un rapporto sessuale
non consensuale senza protezione. Si fermò solo perché iniziai a piangere.
Avevo la bocca piena di succhi gastrici, stavo per vomitare.
Era sorpreso e perplesso da questa reazione.
Dopo questo fatto avvennero altri incontri e altri rapporti, consensuali:
illudermi di avere una relazione con lui avrebbe normalizzato quello che mi
era successo. Ma le sue richieste erano al limite della follia.
Dopo poco decisi di troncare i contatti e lui iniziò a cercare di contattarmi
in maniera insistente, usando scuse assurde e adducendo motivazioni gravi,
anche di salute. Arrivò persino a ventilare l’ipotesi di una sua
sieropositività (rischiosa anche per me). Era un incubo interminabile.
Ha smesso di cercarmi solo qualche anno fa.
Ovviamente tutte le proposte di lavoro che mi aveva fatto erano fasulle e
non si sono mai concretizzate.Anni fa un amico che lavora nel mondo del fumetto mi propose un lavoro. Iniziammo a scriverci più frequentemente e oltre a parlare di fumetti mi raccontò episodi molto intimi della sua vita sessuale. Io non avevo chiesto nulla ma lui ama confidare a fiume queste esperienze. Finché un giorno mi mandò una foto molto intima di lui che tiene in mano il suo pene mentre guarda la sua compagna nel letto. Trovai esagerato e inappropriato il gesto e glielo dissi, lui si scusò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ci scambiavamo fotografie di nudi, pensavo fosse una cosa intima, fra noi. Poi mi raccontò di averle mostrate a un amico e collega, io in quel momento realizzai che la mia immagine non era al sicuro. Gli chiesi di cancellare le mie, mi rispose che chiedendoglielo stavo mettendo in dubbio il nostro rapporto di fiducia. Ne discutemmo, ma di fatto poi non ha cancellato nulla.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Durante una fiera un autore mi ha confessato, con aria divertita, di aver promesso a un collega là presente un rapporto sessuale a tre che mi coinvolgeva. Lo aveva fatto a mia insaputa, perché a detta sua gli doveva un favore.

Ci siamo conosciuti ad una fiera. Dopo aver capito che ero interessata a lavorare nel campo, mi ha promesso di presentarmi alcuni editori suoi amici, perché riteneva i miei lavori molto belli e interessanti, dilungandosi in complimenti. Dopo aver accettato un invito a prendere un caffè, che io pensavo fosse un’occasione di lavoro, è iniziato il lovebombing: telefonate, lettere, messaggi, regali… a me la cosa sembrava molto romantica. Dopo poco tempo ci siamo incontrati di nuovo di persona e per me è diventata una cosa più seria e sentimentale. Ero davvero molto coinvolta. Mi disse di fare riferimento a lui se avessi voluto pubblicare qualcosa, elogiava il mio talento. Ho scoperto per caso che aveva una compagna, ma lui smentì tutto. Dopo essersi reso conto del mio coinvolgimento emotivo smise di parlare di lavoro, di farmi proposte, anche solo di darmi consigli. Anzi, cominciò a scoraggiarmi, a mettere in dubbio le mie capacità. Un comportamento del genere mina l’autostima professionale e personale.

Quando mi sono iscritta in una scuola di fumetti, la scelta è stata motivata dalla presenza di un autore tra gli insegnanti. Era una sua grandissima ammiratrice e l’idea di lavorare con lui era per me un po’ come quella di avere a che fare con la propria Rockstar preferita. Sin dalle primissime lezioni, questo insegnante ha mostrato nei miei confronti un interesse spiccato, ma sempre in privato. Di persona, quando eravamo in mezzo agli altri, elogiava il mio lavoro, spesso mettendolo a confronto con quello degli altri e creando quindi un divario tra me e loro. In privato tendeva a scrivermi la notte; dapprima cose molto delicate, sebbene non professionali. Diceva di essere incuriosito da me. Dopo alcuni scambi palesemente non professionali ma ancora un po’ sul filo tra l’ambiguo e il non ambiguo, mi ha proposto di spostarci a parlare su Skype. Io ero totalmente persa di quest’uomo sebbene alcune cose non mi tornassero. Mi era sembrato di avergli visto la fede al dito una volta, ma poi più niente; diceva sempre di abitare da solo e di non avere compagnia. Le nostre conversazioni su Skype sono diventate sempre più spinte e, talvolta, le conversazioni scritte sono sfociate in videochat in cui mi chiedeva di dire e fare delle cose e lui ne faceva a sua volta. Non mi ha mai obbligata a fare nulla, finché un giorno mi ha scritto che voleva che andassi a casa sua. Io sapevo di essermi spinta già oltre al limite, specialmente perché si trattava del mio insegnante. Gli ho detto di no inventando una scusa. Da quel momento è tutto cambiato improvvisamente. Il mio lavoro non gli piaceva più così tanto, ha smesso di scrivermi in privato e ha smesso addirittura di rispondere alle mie mail su questioni didattiche. Non solo non correggeva più niente di quello che gli mandavo, ma spesso se ne usciva con dei commenti sprezzanti circa il mio operato, davanti a tutti gli altri allievi. Ha iniziato volutamente a umiliarmi. Ho cercato più volte di ottenere un confronto diretto faccia a faccia per tentare di capire se quello che era successo in privato con lui avesse avuto in qualche modo un ruolo in questo suo improvviso cambio di atteggiamento. Mi ha sempre negato ogni tipo di confronto diretto e non mi ha mai dato la possibilità di chiedergli spiegazioni. In seguito ho saputo da un altro insegnante che i miei voti erano stati bruscamente abbassati per volere della persona con cui mi ero sentita. Addirittura voleva bocciarmi, ma gli altri si erano opposti. Inoltre successivamente mi hanno riferito che lui mi definiva un’ incapace e che si lamentava del fatto che non gli consegnavo i miei compiti, nonostante io glieli avessi inviati per mesi senza ricevere risposta.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Lo conoscevo come autore e lo seguivo abbastanza regolarmente sui social. Rea di avergli messo dei cuori di troppo, che immagino siano stati la pietra dello scandalo, mi raggiunse tramite social per farmi i complimenti per i miei disegni. Lo ringraziai, e lui mi chiese di parlare un po’. Quindi parlammo un po’. Vuoi perché la mia ingenuità non mi fa mai capire niente, vuoi perché ero invaghita di lui, non mi resi conto che la conversazione stava velocemente virando sul piano sessuale. Mi disse che aveva notato la mia attività’ di disegnatrice erotica e mi chiese dei disegni. Gli mandai qualche cosa di appena abbozzato e la conversazione quella sera finì poco dopo. Le sere dopo, fu evidente che a lui interessava esclusivamente parlare di sesso. Mi chiedeva di raccontargli delle mie esperienze, lui mi raccontò le sue; sperava che mi coinvolgessero, che mi entusiasmassero, ma tutta quella fretta mi metteva a disagio a dire poco. Lui si spingeva sempre oltre, io gli chiedevo sempre di fermarsi, e le mie rimostranze vennero accolte con freddezza e cattiveria: mi sono sentita dire che ero troppo concentrata sui miei disegni e poco su di lui, che ero in debito con lui di molte parole. Soprattutto, non mi lasciava mai in pace: se non rispondevo entro pochi minuti si congedava dicendomi che evidentemente avevo di meglio da fare. Il tutto fu un’escalation che culminò la sera in cui mi chiese se volevo sentirlo venire al telefono. Quando per l’ennesima volta gli dissi che non ne avevo la minima intenzione, che non volevo neppure provare, mi disse che non potevo saperlo se non gli davo una chance. Gli dissi che potevamo parlare al telefono e nient’altro. Che se magari l’avessi trovato interessante avremmo potuto provare ma che al mio “no” si sarebbe dovuto fermare. Che se non l’avesse fatto, l’avrei cancellato dalla mia vita. Ero allo stremo delle forze. Non lo volevo perdere sia perché, e lo dico amaramente, un po’ mi piaceva, sia perché avevo paura di eventuali ripercussioni. Quindi parlammo al telefono e quando lui andò’, per così dire, fuori dal seminato, gli dissi immediatamente di fermarsi. Non lo fece. Non pago di questo, mi disse di guardare la chat. Mi aveva mandato una “dickpick”. Gli chiesi se l’aveva fatto apposta perché voleva che non gli parlassi più, e lui mi rispose prendendomi in giro. Gli attaccai il telefono in faccia. Provò a scrivermi altre volte promettendo lavoro e collaborazioni che, ovviamente, non si realizzarono mai.

Ero ad una fiera, stavo in casa con amici (e amiche) e mi fermavo lì una notte sola, perciò mi era stato offerto il divano e mi sembrava una decisione giusta. La giornata in fiera trascorse come ogni giornata in fiera, e dopo la tradizionale serata insieme, verso le 2.30 ci si avviò tutti insieme verso la casa. In quel momento venni a sapere che in casa con noi sarebbe stato anche un autore, con cui non avevo mai parlato prima, non ci avevo mai interagito, e non conoscevo in generale se non di fama, ma di cui comunque non sono un’ammiratrice.
Arrivati alla casa, ci presentammo e mi disse che avrebbe continuato a lavorare ad alcune commission, se non mi dava fastidio la luce accesa. Gli dissi di no e mi misi a dormire sul divano girata verso il muro. Non so quanto tempo passò, ma mi svegliai e lui era sdraiato dietro di me, praticamente sopra di me e mi teneva bloccata al divano, e aveva le mani
sotto al mio pigiama. Un pigiama di merda quindi non c’è neanche la scusa dell’abbigliamento provocante.
Gli dissi più volte di smetterla, ma non si fermava e insomma ero paralizzata dallo schifo, perché succede automaticamente che ti paralizzi; vorrei poter dire che mi sono girata e l’ho picchiato ma non è così, ero bloccata. Non so come sono riuscita a liberarmi, mi sono alzata e mi sono chiusa in bagno dove ho aspettato che facesse giorno. Ricordo che stavo malissimo,
che ho vomitato proprio dallo schifo e che mi è venuto il ciclo dal nervoso. E la mattina dopo quando si sono svegliate le altre persone della casa, sono uscita con loro senza dire niente e solo una volta in centro in città ho raccontato quello che mi era successo. Mi è stato detto che “lui ha un problema, che ci vuoi fare” “lui è così” e più mi dicevano queste cose più
rimuginavo sul fatto che non avesse senso dirlo in giro se “lui è così”; ma pensavo anche: se tutti sapevano che “lui è così”, perché nessuno mi aveva avvertito?

L’ideatore di un progetto per cui ho lavorato è stato abbastanza pesante con me: in genere apprezzo i complimenti ma li distinguo dai commenti fuori luogo. Ha cominciato a confidarmi cose che gli capitavano durante i rapporti sessuali e quando aveva occasione faceva battute sul mio aspetto fisico a sfondo sessuale, o mi chiedeva cose sul mio ragazzo. Insomma arrivato ad un certo punto gli dissi che se continuava ad essere così pesante io avrei mollato. Durante una riunione con gli sceneggiatori e altri cominciò a parlare di me e a dire agli altri di guardarmi e cosa avrebbe fatto se fosse stato il mio ragazzo. L’ho sfanculato senza salutarlo.

Avevo circa 22 anni e frequentavo la scuola del fumetto. Ho conosciuto questo editore durante un esame nella mia scuola, dove di solito invitano persone esterne del mondo del fumetto per giudicare meglio gli alunni. Dopo il colloquio l’editore ci ha aggiunti su Facebook e ci ha chiesto di contattarlo nel caso volessimo altri consigli e io, che sono timida, non l’ho fatto. Mi contattò lui dopo qualche settimana, facendomi ancora i complimenti per la mia prova d’esame, dicendomi quanto ero brava e bella, dicendomi praticamente tutto quello che si vuole sentir dire una ragazza inesperta da un editore e soprattutto una studentessa che vorrebbe fare del fumetto un lavoro. Mi invitò in giro per l’Italia alle fiere per lavorare, ad aperitivi, cene costose con fumettisti; mi mandò regali. In quel periodo mi sentivo come se avessi dovuto meritarmi le sue attenzioni e pendevo dalle sue labbra, mi facevo andar bene anche la robaccia erotica che mi mandava che mi metteva a disagio anche perché non era mai chiaro sulla sua situazione sentimentale (era impegnato o no?) e che questo mio “essere bravissima” non portava mai a una vera pubblicazione, cosa che mi aveva invece promesso tra le righe. Col tempo ho intuito che non ero la sola e che seppur molto ingenua non me la sentivo di avere a che fare con una persona così poco limpida e pian piano ho tagliato i ponti. Ha pure provato a farmi sentire in colpa. Io sono stata fortunata, perché anche se fragile, la distanza mi ha fatto capire che non era un rapporto sano.

Qualche anno fa ero ad una fiera per presentare un libro come illustratrice. Ero da sola perché la presentazione fu abbastanza improvvisata ma mi presi due giorni perché volevo visitare la fiera, dove non ero mai stata. Incontrai a uno stand un “talent scout”, ci mettemmo a chiacchierare e venne fuori che ero un’illustratrice e che avevo il book con me. Mi fece diversi complimenti finché addirittura non mi fece fare il giro della fiera per presentarmi agli editori e mostrare i miei lavori. Mi aggiunse su Facebook e ci scambiammo i numeri, io felicissima perché ingenuamente pensavo che non potesse avere doppi fini, avendomi presentata a un sacco di editori. Pensavo che ne sarebbe andata della sua immagine, se avesse promosso una persona senza talento. Dopo qualche giorno di tampinamento telefonico e messaggistico con qualche commento un po’ too much me ne distaccai un po’ perché mi sembrava che questo rapporto di “amicizia” fosse poco professionale e anche poco amichevole: fatto sta che poi non mi ha più né chiamata né considerata per motivi lavorativi. Qualche mese dopo, da un amico che ho scoperto avere in comune con il talent scout, venni a sapere che mentre mi elogiava per il mio stile e mi faceva fare il giro degli stand, a questo scriveva che dal primo momento aveva capito che mi avrebbe conquistata, che ero cotta, si vedeva benissimo che ci sarei stata e che semplicemente doveva ancora insistere un pochino e sarei caduta tra le sue braccia. Non potete capire quanto mi sia sentita cretina. E anche fallita, visto che evidentemente i miei lavori erano solo un pretesto per abbordarmi.

Quando feci vedere un mio portfolio a un autore lui mi disse, indicando la mia amica, che serviva uno studio dell’anatomia più approfondito e che magari noi due ci saremmo potute spogliare, fotografarci e poi chissà…

Mentre ancora frequentavo la scuola di fumetto, venni contattata da un editore. Era la primissima volta che mi rapportavo a un editor. Dopo una chiamata telefonica in cui mi spiegava in modo molto deciso cosa avrei dovuto fare, diede appuntamento a me e al ragazzo in coppia creativa con me per un colloquio in videochiamata. Arrivata la sera della videochiamata, la prima cosa che sentii era l’audio. La sua voce disse qualcosa tipo “finalmente un bel vedere”. Poi arrivò il video: il “professionista” era a petto nudo. Ringrazio ancora tanto di essere stata in coppia creativa e che la persona con me abbia, dopo minuti di imbarazzo, fatto una battuta che suggeriva all’editor di mettersi una maglietta.  Ma la cosa per me peggiore di quel colloquio, è una frase che l’editor ha detto poco dopo, riferendosi a un’altra ragazza a cui aveva fatto un colloquio. Disse che questa autrice disegnava davvero male, ma era “bona” ed era stata selezionata per questo. Dopo qualche giorno decisi di ritirare il mio proposal con una scusa. L’editor mi chiamò e tentò di convincermi a cedere i diritti della mia parte di lavoro, dicendo che così non avrei messo in difficoltà l’altra metà del team creativo (con cui mi ero già sentita e che era stato comprensivissimo con me). Al mio ennesimo rifiuto, chiuse la chiamata e – per fortuna- sparì. Dopo quella esperienza, mi è comunque rimasta una sorta di “sfiducia” nel rapportarmi agli editor, fatta eccezione per due o tre casi. È capitato che editor conosciuti soltanto di fama mi contattassero sui social in modo informale e io ho sempre lasciato morire la chat, ignorando forse persone che non avevano la minima intenzione di essere sgradevoli, per l’imbarazzo di ritrovarmi di nuovo in situazioni simili.

Avevo 22 anni e studiavo fumetto e illustrazione. Un editore mi è sempre sembrato un tipo piuttosto mellifluo. Con la scusa di salutarmi si prendeva delle libertà e mi accarezzava in modo invadente. Una volta è anche venuto a casa mia, dove vivevo con la mia coinquilina (con cui aveva rapporti) e ha cercato di invadere pure il mio spazio (la mia stanza) sperando forse di avere qualcosa in più. Ho chiuso la porta e mi sono ritirata a finire le tavole che stavo facendo, per fortuna avevo quella come scusa. Ovviamente quando ci vedevamo millantava sempre possibili collaborazioni mai concretizzate e, per fortuna, non ho mai accettato di scendere a quel tipo di compromessi. Comunque, anche anni dopo, ha sempre continuato a toccarmi in modi poco opportuni e quando una volta gliel’ho fatto notare si è difeso dicendo che eravamo “amici” e che queste erano “dimostrazioni di affetto”. L’ho bloccato ovunque.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Su Twitter ebbi uno scambio acceso con un giornalista di settore: durante la discussione arrivarono altri che scrivevano sulla sua testata a dargli manforte e a farmi sentire inetta e inadeguata. Una settimana dopo feci una vignetta sul mio account Instagram in cui mi sfogavo dell’accaduto in modo velato e per niente diretto, inserendo la questione in un contesto molto più ampio di violenza di genere. La mia intenzione non era fare un paragone di nessun tipo ma denunciare la matrice patriarcale comune. Uno dei collaboratori della rivista si prese la libertà di chiamarmi e dirmi che l’avevo deluso: che paragonare a cose più gravi l’episodio che mi era successo con il suo responsabile non andava bene e che gli sarebbe dispiaciuto se qualcuno avesse iniziato a parlare male di me nel mondo del fumetto, che è piccolo. O, ancora peggio, gli sarebbe dispiaciuto se il sito in questione avesse smesso di parlare dei miei fumetti, con un conseguente calo delle vendite. Gli chiesi se questo fosse un ricatto e rispose di no, che era “un avvertimento” ma che, in fondo, non mi sarei dovuta stupire se poi fosse accaduto qualcosa.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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